Le Alpi tra passato, presente e futuro
Le Alpi rappresentano sicuramente
uno degli angoli più selvaggi e suggestivi del nostro continente ma rappresentano
altresì la catena montuosa più sfruttata e popolata del Mondo.
In queste montagne convivono da
sempre diversità culturali e linguistiche, zone fortemente urbanizzate e
tecnologiche e zone abbandonate e spopolate, zone dove la pressione turistica è
fin troppo eccessiva e zone dove ancora questo processo deve essere sviluppato.
L’arco alpino è fin dai tempi più
remoti mito prima e realtà di un grande spazio turistico e di vita poi.
Le montagna ed in particolare i
fondovalle erano abitati fin dalle epoche preistoriche e i villaggi spesso
sorti in luoghi alti e dominanti permettevano di proteggere le sue genti da
guerre e carestie, inoltre i passi ed i valichi alpini fungevano da importanti nodi
di comunicazione tra il Nord Europa ed il Mediterraneo.
Gli abitanti della montagna di
allora sapevano inoltre sfruttare in modo ottimale le caratteristiche e le
potenzialità della loro regione, riuscendo a sopravvivere in ambienti spesso
ostili. L’economia di montagna era in armonia con gli ecosistemi locali ed era
in grado di portare ricchezza alla sua gente attraverso l’esportazione del
bestiame e formaggio, alla produzione di materie prime (minerali e legno) e
alla realizzazione di un artigianato specifico.
Il turismo non era ancora
arrivato ma a partire dal XIX secolo, durante la Belle Epoque, le regioni
alpine conobbero per la prima volta un importante afflusso di visitatori, in
particolare arrivarono i primi esploratori, viaggiatori, filosofi e pittori
principalmente inglesi e tedeschi attirati dalle bellezze naturalistiche e per studiarne
gli aspetti botanici, ecologici e geologici.
Questi viaggiatori erano tuttavia
personalità fuori dal comune, che emergevano dal loro contesto sociale. I
viaggi naturalistici e di svago, intesi come popolare attività del tempo libero,
si svilupparono solo a partire dai primi del XX secolo, nell’ambito del
progresso nei viaggi di massa facilitati anche dalla costruzioni di
infrastrutture ferroviarie, stradali e ricettive-alberghiere. Solo dalla metà
del XX secolo, tuttavia, i viaggi su scala planetaria non furono più un
privilegio riservato ad una classe elitaria e grazie al boom economico di
quegli anni iniziarono anche per le Alpi il vero sviluppo del turismo alpino e
vacanziero. Con l’avvento del turismo molte località e regioni si sono di certo
arricchite, portando benessere ai loro abitanti assieme a servizi, strade e
commercio. A farla da padrone è stato e lo è ancora il turismo invernale legato
allo sci alpino in primis che ha portato l’Arco Alpino a diventare insieme al
litorale mediterraneo una delle principali regioni turistiche d’Europa.
Purtroppo tutto questo non ha
portato solo ricchezza e benessere; dopo le grandi speculazioni degli anni
Sessanta e Settanta ci si è accorti che qualcosa nel modello di sviluppo andava
storto.
La montagna con il suo ambiente
era la prima ad essere danneggiata insieme ad una qualità della vita della
gente che vi abita in deciso peggioramento. Il traffico veicolare sempre più
asfissiante lungo le valli provocato anche dalla costruzioni di grosse arterie,
l’urbanizzazione selvaggia, il progressivo abbandono dell’agricoltura e quindi
della gestione del territorio, il paesaggio sfregiato da opere e disboscamenti
per i piloni e le seggiovie ed i più recenti sfruttamenti a scopo energetico
(dighe, centrali idroelettriche, elettrodotti e pale eoliche) hanno messo sotto
pressione le nostra amate montagne.
Oggi l’intera regione alpina è
appunto in bilico tra una struttura economica legata ad un agricoltura di
montagna in declino e da un turismo parzialmente saturo.
Questo spazio di maestosa e naturale bellezza, oggi vitale ed economico rischia di diventare il retroterra degli agglomerati urbani presenti nelle vicinanze (pensiamo a Milano, Torino e la Val Padana a sud oppure Monaco, Vienna, Lione, Zurigo e le grandi città a nord). Le grandi città che le circondano sia a Nord che a Sud sono infatti potenti attrattori economici e sociali in grado di dare prosperità e benessere, portando l’area di montagna ad essere emarginate anche da un turismo che nel XXI secolo sta cambiando, attratto sempre più da destinazioni internazionali e/o esotiche dai prezzi più competitivi. Il rischio è accresciuto in questi ultimi anni con la nascita della Macroregione Alpina come strategia di gestione Europea a livello locale, comprendente oltre che l’Arco Alpino vero e proprio anche le regioni amministrative limitrofe e fortemente urbanizzare italiane, tedesche, austriache, svizzere e francesi. Rischio che sarà concreto nel caso in cui le politiche di gestione del territorio siano esclusivamente nelle mani della popolazione metropolitana dando appunto un impostazione ed un approccio ai problemi diverso e sbilanciato verso le città.
Questo spazio di maestosa e naturale bellezza, oggi vitale ed economico rischia di diventare il retroterra degli agglomerati urbani presenti nelle vicinanze (pensiamo a Milano, Torino e la Val Padana a sud oppure Monaco, Vienna, Lione, Zurigo e le grandi città a nord). Le grandi città che le circondano sia a Nord che a Sud sono infatti potenti attrattori economici e sociali in grado di dare prosperità e benessere, portando l’area di montagna ad essere emarginate anche da un turismo che nel XXI secolo sta cambiando, attratto sempre più da destinazioni internazionali e/o esotiche dai prezzi più competitivi. Il rischio è accresciuto in questi ultimi anni con la nascita della Macroregione Alpina come strategia di gestione Europea a livello locale, comprendente oltre che l’Arco Alpino vero e proprio anche le regioni amministrative limitrofe e fortemente urbanizzare italiane, tedesche, austriache, svizzere e francesi. Rischio che sarà concreto nel caso in cui le politiche di gestione del territorio siano esclusivamente nelle mani della popolazione metropolitana dando appunto un impostazione ed un approccio ai problemi diverso e sbilanciato verso le città.
Resta il fatto che comunque il
futuro delle economie alpine dipende in ampia misura dal turismo in grado di
generare un ambiente in cui vivere e lavorare. Inoltre le Alpi sono
particolarmente indicate ad essere un modello in ambito europeo per una
concezione regionale di un’economia sostenibile. A causa delle particolari
condizioni naturali e dei cambiamenti climatici in atto, gli errori di gestione
in un’area ecologicamente sensibile come le Alpi hanno infatti conseguenze più
rapide e catastrofiche rispetto alle regioni di pianura. Sono quindi necessari
interventi correttivi più tempestivi e una prevenzione più accurata.
La ricetta futura sarà quindi
sviluppo sostenibile assieme ad un turismo di qualità.
Se con l’effetto Tomba e
Compagnoni lo sci alpino era diventato il prodotto trainante del turismo alpino
nazionale, oggi è necessario rivedere le politiche di settore.
Per esempio il turismo invernale
nelle Alpi è unilateralmente orientato allo sci, perciò dipende fortemente
dalla neve.
In talune zone come per esempio
Valle d’Aosta e Dolomiti si è assistito ad uno dei maggiori sviluppi nel
settore degli impianti a fune che ha fatto dimenticare per alcune decine di
anni i disagi, la povertà e la crisi occupazionale tipica delle terre alte.
Tuttavia in tempi recenti, sia
per l’eccessivo sfruttamento del territorio dovuto al sempre crescente numero
di impianti di risalita e conseguentemente alla speculazione edilizia, sia per
la congiuntura economica non favorevole al progredire di questa costosa pratica
sportiva, sia per la riduzione di domanda legata all’invecchiamento e alla
diminuzione del popolo degli sciatori, aiutata poi da una diminuzione delle
precipitazioni nevose, la situazione è notevolmente cambiata ed il settore
appare se non in crisi in stagnazione.
La mitigazione al problema non
potrà comunque essere l’innevamento artificiale. Il consumo d’acqua per
l’innevamento è immenso e non è affatto certo che la quantità d’acqua
disponibile sia sufficiente a coprire il fabbisogno anche perché in futuro potrebbe
esserci troppa acqua d'inverno ma troppo poca d'estate. Tali cambiamenti
avranno quindi delle ripercussioni sull'agricoltura e sulla selvicoltura, ma
anche sull'economia dell'acqua.
Lo sviluppo sciistico porta poi come
conseguenza, anche voluta, ad una speculazione edilizia non sostenibile.
In molte località di
villeggiatura esistono ormai un numero estremamente elevato di abitazioni
adibite a seconde case (per altro vuote gran parte dell’anno) che occupano
estese porzioni di territorio con conseguente criticità legate all’aumento
degli oneri finanziari derivanti dal potenziamento dei servizi idrici e fognari
e non ultimo l’aumento del valore degli immobili e del terreno provocando
l’espulsione della popolazione residente dal mercato locale delle abitazioni.
Una strategia per le aree
coinvolte sarebbe pertanto la riduzione della dipendenza dalla neve e dallo
sci, integrando l’offerta turistica da un lato e puntando ad un turismo
distribuito nelle quattro stagioni dall’altro. Si tratta di adottare la
cosiddetta strategia multifunzionale legata alla differenziazione dell’offerta
turistica.
La ricetta per il
futuro del turismo montano dovrebbe includere almeno questi 7 punti principali:
dare un alternativa sportiva alla pratica dello sci alpino, valorizzazione del
patrimonio naturale e culturale, sviluppo di una comunità locale accogliente con
la creazione di un “Paese Albergo” o “Albergo Diffuso” per permetterebbe anche
di recuperare il patrimonio residenziale esistente, valorizzazione dei percorsi
storici, valorizzazione della filiera turistica integrata con le filiere del
legno e dell’agro-alimentare per la promozione del turismo alpino nelle
stagioni intermedie (primavera, autunno), mobilità alternativa a tutela del
clima, in particolare servizi navetta, taxi per gli escursionisti e skibus
gratuiti, veicoli elettrici, e-bike, auto ecocompatibili a noleggio, uso
integrato del treno, vacanze benessere per rendere più appetibile la località
agli amanti del riposo e del benessere psico-fisico.
I nuovi concetti fondamentali da seguire saranno quindi: agricoltura, turismo a passo lento, destagionalizzazione e cultura tradizionale. Ovviamente tutto questo sarà possibile soltanto se questi nuovi processi di sviluppo saranno supportati da una volontà politica quantomeno locale in grado di concretizzare i bisogni e gli input che vengono proposti loro.
I nuovi concetti fondamentali da seguire saranno quindi: agricoltura, turismo a passo lento, destagionalizzazione e cultura tradizionale. Ovviamente tutto questo sarà possibile soltanto se questi nuovi processi di sviluppo saranno supportati da una volontà politica quantomeno locale in grado di concretizzare i bisogni e gli input che vengono proposti loro.
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